Tutto ciò che
sappiamo sull’universo e sulle leggi che lo regolano, deriva, in buona parte,
dalla misura e dallo studio della radiazione elettromagnetica che giunge fin
sulla Terra. Infatti in astronomia, al contrario di altre scienze, non si
possono fare esperimenti di laboratorio se non per aspetti marginali.
Per molti secoli
questa misura è stata limitata alla ristretta finestra della radiazione
visibile, cioè quella che comunemente si chiama luce visibile alla quale
è sensibile il nostro occhio. Sappiamo però che la finestra visibile è solo una
ristretta porzione dello spettro della radiazione elettromagnetica che
comprende, per lunghezze d’onda decrescenti: le onde radio, le microonde,
l’infrarosso, il visibile, l’ultravioletto, i raggi X ed i raggi Gamma. Questa
naturalmente è una distinzione di comodo che rispecchia non tanto il tipo di
radiazione o la lunghezza d’onda, bensì il tipo di strumento che serve a
misurarla. Ad esempio per il visibile si usano gli occhi e quindi lenti e
pellicole o sensori al silicio (es. fotocamere CCD) poiché questi strumenti
sono sensibili alle stesse lunghezze d’onda alle quelli è sensibile l’occhio.
Per il vicino infrarosso, si possono però utilizzare strumenti simili
(pellicole IR o sensori IR) che permettono di “vedere” questa radiazione
trasformandola in qualcosa di visibile. È il caso ad esempio dei visori
notturni usati in ambienti militari. Un esempio analogo sono le radiografie, la
pellicola viene impressionata dai raggi X permettendo la visione nel visibile
delle ossa e dei tessuti.
Per le onde radio,
gli strumenti che ne permettono l’osservazione, e quindi la misura, si basano
sull’utilizzo di sensori che fanno uso di antenne.
Alla fine dell’800 i
progressi scientifici e tecnologici erano tali che gli scienziati di allora
avevano previsto la possibilità di poter studiare nelle frequenze radio,
oggetti molto energetici come il Sole. Dopo i primi esperimenti di Eber nel
1893 vi furono, tra il 1893 ed il 1903, O.Lodge, Scheiner, Wilsing e Nordmann
ma nessuno riuscì ad osservare nulla. Successivamente, con la diffusione delle
radiotrasmissioni e dello studio degli effetti dell’attività solare sulla
propagazione radio, risvegliò l’interesse per la radioastronomia. Varie erano
state le segnalazioni di fenomeni particolari, basti pensare a Stagner,
un radiotecnico americano che nel 1929 avvertiva (in una postazione radio a
Manila) un fruscio di fondo che sembrava intensificarsi in alcune ore della
giornata. Nello stesso anno fu K. Jansky un ingegnere della ditta di telefonia
Bell Telephone, che stava lavorando sulla eliminazione dei disturbi nelle
comunicazioni transoceaniche. Utilizzando i ricevitori radio più avanzati dell’epoca,
notò che tra tutti i rumori di fondo ve ne era uno in particolare che sembrava
avere massimo quando egli faceva rotare la sua antenna verso una particolare
direzione nel cielo. Dopo molti mesi di misurazioni egli giunse alla
conclusione che il periodo con cui il rumore sembrava aumentare e poi diminuire
era quello del giorno sidereo, ovvero di 23h 56m. Dopo altri anni di
rilevazioni riuscì a determinare che tale direzione corrispondeva al centro
della Via Lattea.
Negli anni ’30 si
cominciò a guardare con rinnovato interesse a questo tipo di rumori ma fu
soprattutto l’olandese G.Reber che avendo capito l'importanza dei risultati a
cui era arrivato Jansky, decise di continuare i suoi studi concentrandosi
esclusivamente sulla radiazione di natura cosmica. Fu con il sul riflettore
parabolico costruito in proprio da quasi 10 metri di diametro che iniziò a
sondare il cielo alle lunghezze d’onda di 9 cm, poi sui 33 e dopo questi due
fallimenti provò ancora sui 187 cm. A questa lunghezza d'onda riuscì a captare
il rumore proveniente dal centro della nostra galassia. Nel 1940 tentò per la
prima volta una rappresentazione della distribuzione dell'intensità del segnale
attorno al centro della Via Lattea. Erano gli anni della Seconda Guerra
Mondiale e un nuovo strumento era appena nato: il radar. I primi strumenti
funzionavano sulle onde metriche ed erano abbastanza rudimentali ma per motivi
bellici, migliorarono velocemente. Nel 1942 un evento inatteso dette un
importante impulso alle conoscenze della radioastronomia di allora, molte
stazioni radar inglesi lamentarono un notevole rumore che disturbava la
ricezione. Inizialmente qualcuno temette una nuova arma tedesca,
successivamente fu riconosciuta la vera causa: il sole che proprio in quel
periodo era in piena attività e mostrava grandi macchie sulla superficie.
Queste notizie furono rese note solo alla fine del conflitto e fu da allora che
gli scienziati si dettero daffare per capire cosa aveva originato il fenomeno.
Per capire meglio i
prossimi argomenti, vediamo cos’è un’onda elettromagnetica e come si può
misurare.
È noto che negli
atomi esistono cariche positive nel nucleo (i protoni) e cariche negative negli
orbitali (gli elettroni) e sono legati tra di loro da forze elettromagnetiche.
In un modello molto semplice dell’atomo possiamo immaginarci che questo sia
simile ad un piccolissimo sistema solare dove al centro vi sono protoni e
neutroni che formano il nucleo e in orbita vi sono gli elettroni a varie
distanze dal nucleo. Per motivi che esulano da questa trattazione, i metalli
hanno gli elettroni più lontani dal nucleo che risentono poco dell’attrazione e
quando gli atomi sono legati insieme a formare un solido metallico, questi
elettroni sono liberi di circolare al suo interno; è questo il motivo per il
quale i metalli possono condurre elettricità.
Supponiamo adesso di
avere una bacchetta di metallo dentro la quale un certo numero di elettroni si
sposta da una estremità all’altra. Se dispongo di una bacchetta simile e la avvicino
abbastanza alla precedente, gli elettroni liberi della seconda bacchetta
tenderanno ad allontanarsi da quelli della prima per la nota legge sulle
cariche elettriche di Coulomb.
Quindi se le cariche
della prima bacchetta oscillano lungo la bacchetta stessa, anche quelle della
seconda oscillano con lo stesso periodo ma nel verso contrario. Se allontaniamo
le bacchette, gli elettroni della seconda bacchetta continueranno ad oscillare
pur essendo sottoposti ad una forza minore. Diamo ora un nome alle due
bacchette ed alla forza tra gli elettroni: la forza che agisce tra le due
bacchette è una onda elettromagnetica, la prima bacchetta è un
generatore di onde elettromagnetiche e la seconda è una antenna ricevente.
L’esempio degli
elettroni è applicabile a tutte le lunghezze d’onda ma nella realtà vi sono
differenze importanti. Quando abbiamo accennato al periodo, ovvero il tempo che
impiegano gli elettroni per partire da una estremità, giungere all’estremità
opposta e tornare indietro, abbiamo la quantità più importante che riguarda una
onda elettromagnetica: la lunghezza d’onda e analogamente la frequenza
che ne è l’inverso[1].
Come si vede in
figura 1 a seconda della lunghezza d’onda, varia il tipo di rivelatore atte a
misurarle. Le uniche che si possono ricevere sfruttando direttamente l’analogo
della bacchettina, ovvero una antenna ricevente, sono le onde radio che hanno
una lunghezza minima dell’ordine del millimetro. In linea di principio si
potrebbero utilizzare antenne anche per lunghezze d’onda minori ma dovrebbero
essere così piccole che sono preferibili, e più efficienti, altri metodi.
Ultima grandezza
fondamentale è l’intensità ovvero la misura di quanto è grande la forza
sviluppata dagli elettroni della prima bacchetta nei confronti della seconda.
Per le onde elettromagnetiche si usa una serie di grandezze che hanno un
significato analogo in idraulica come: altezza dell’onda (o ampiezza), distanza
tra due onde (o lunghezza d’onda), flusso ecc.
Figura 1
Spettro elettromagnetico con le lunghezze d'onda e i relativi sensori.
Sul significato di
flusso vale la pena spendere due parole in più. Il flusso legato alle onde
elettromagnetiche può essere paragonato al flusso dell’acqua ovvero il numero
dei litri al secondo che passano in un tubo con una sezione data.
Analogamente il
flusso di una radiazione elettromagnetica è data dall’intensità della
radiazione che colpisce una data superficie. Per le sorgenti radioastronomiche
questa grandezza è molto piccola e in onore a Jansky che fu il primo a studiare
il cielo nella regione radio, l’unità di misura del flusso porta il suo nome.
In particolare un Jansky (Jy) è:
1 Jy = 10-26 W m-2 Hz-1
Tanto per fare un
confronto nel visibile il sole emette circa 1030 Jy mentre a
1420 Mhz emette circa 106 Jy cioè è cento miliardi di
miliardi di volte meno intensa! Vi sono però sorgenti non visibili che nel
radio sono luminosissime.
È noto che non tutte
le radiazioni presenti nel cosmo giungono fin sulla superficie della terra.
Potrebbe essere un vantaggio per gli astrofisici poter sondare tutte le
lunghezze d’onda como-damente dagli osservatori, per contro molte delle
radiazioni cosmiche, e in particolare proprio quelle che non arrivavo, sono
letali per la vita sulla Terra e quindi non vi sarebbero nemmeno gli
astrofisici. Esiste infatti una finestra atmosferica che permette solo
ad alcune radiazioni di arrivare sul pianeta mentre le altre sono assorbite o
riflesse.
In figura 2 è
mostrato l’assorbimento dell’atmosfera a varie lunghezze d’onda, dove la curva
si abbassa la luce arriva al suolo. Il visibile è compreso tra le lunghezze
d’onda di 0.3 e 0.8 mm e come si può vedere tutta la luce arriva fin sulla
terra. L’ultravioletto è bloccato (altrimenti provocherebbe il cancro della
pelle) come lo sono anche i raggi X e gamma (g).
Sarebbe interessante
approfondire i meccanismi di assorbimento atmosferico ma per semplificare le
cose basta ricordare che vi sono due grandi finestre: la finestra del visibile
e quella del radio e molte altre più piccole nelle regioni dell’infrarosso e
delle microonde.
Figura 2 Finestra atmosferica, è
mostrata la variazione di assorbimento a varie lunghezze d'onda. Le due
finestre più importanti sono quella radio e quella del visibile
La conoscenza delle
finestre permette di poter decidere per quali lunghezze d’onda possiamo
costruire il nostro radiotelescopio ma c’è un altro particolare importante.
Analogamente alla radio o alla televisione, quando viene utilizzato
l’apparecchio ricevente, è indispensabile sapere su quali frequenze dobbiamo
sintonizzarci per udire e vedere qualcosa, anche per la radioastronomia esiste
questo problema, è indispensabile sapere su quale lunghezza d’onda vogliamo
scandagliare il cielo per poter “udire” qualcosa. All’inizio tutto questo non
si sapeva con sicurezza ma le prime sorgenti osservate erano così vicine come
il Sole o intense come il centro galattico, che questo problema era secondario.
Se potessimo
osservare il cielo nella regione del radio, l’oggetto più luminoso –oltre al
sole- sarebbe la nostra galassia con la tendenza ad essere più brillante al
centro, in direzione della costellazione del Sagittario visibile verso sud
nelle sere estive. Il massimo della luminosità è alla lunghezza d’onda di circa
21 cm corrispondenti a 1420 MHz che come vedremo più avanti è una riga di
emissione caratteristica dell’idrogeno.
Le radiosorgenti si
possono dividere in due tipi fondamentali legati alle caratteristiche
spettrali:
1. sorgenti
termiche, il cui flusso aumenta all’aumentare della
frequenza;
2. sorgenti
non termiche, il cui flusso diminuisce all’aumentare della
frequenza.
Le sorgenti più
intense appartengono spesso al secondo tipo: ad esempio il residuo di supernova
Cassiopeia A e la radiogalassia Cygnus A. Al primo tipo appartengono le
sorgenti che emettono anche nel visibile come il Sole e la Nebulosa di Orione.
Figura 3 Distribuzione spettrale
di alcune radiosorgenti. Si distinguono l’andamento del Sole in stato di quiete
(Quiet Sun) ed in stato di attività legata alla presenza di macchie solari
(Active Sun). L’attività solare è ciclica con un periodo di circa 11 anni.
Nella figura 3 sono
riportate alcune sorgenti e la relativa variazione dell’intensità del flusso in
funzione della frequenza e della lunghezza d’onda (scala in alto). L’intensità
dell’emissione è misurata in Jansky Jy.
I meccanismi di
emissione radio sono vari e alcuni abbastanza complicati. I meccanismi termici
sono legati all’agitazione termica degli elettroni cioè al loro moto dentro il
gas che aumenta in velocità all’aumentare della temperatura. Se usiamo
l’esempio della bacchettina, possiamo immaginarci gli elettroni che si muovono
velocemente e quando subiscono un urto (passano vicino ad un altro elettrone o
ad un nucleo), cambiano direzione. Questo può essere visto come un moto analogo
a quello dentro la bacchetta con la differenza che ad ogni urto cambia sia la
direzione che la lunghezza del percorso. Essendo tanti gli elettroni coinvolti
il risultato dipende dal moto medio che è legato solo alla temperatura T del
gas. Questo meccanismo è noto in fisica con il nome di emissione di corpo
nero ed è caratteristico di ogni oggetto che esiste nell’universo, noi
compresi! Per il Sole, la cui superficie si trova alla temperatura[2]
di 6000 K, l’emissione di corpo nero equivale ad una radiazione visibile centrata
sul giallo: infatti il Sole è giallo! L’emissione di un pianeta come Giove è
centrata nelle microonde, infatti in questa regione i satelliti di Giove
ricevono radiazioni elettromagnetiche dal pianeta maggiori a rispetto a quelle
che ricevono dal Sole.
I meccanismi della
radiazione non termica sono relativamente complicati e si basano sul moto a
grande velocità degli elettroni all’interno di un campo magnetico. Questo ha la
caratteristica di far deviare un elettrone in moto facendogli compiere delle
orbite. Il moto circolare è per natura di tipo accelerato e quindi anche in
questo caso l’elettrone emette un’onda elettromagnetica. La lunghezza d’onda
generata è legata alla velocità del moto e all’intensità del campo magnetico.
Questo tipo di emissione si chiama radiazione di sincrotrone dal nome
dell’acceleratore di particelle nel quale fu osservato per la prima volta.
I due meccanismi di
emissione appena visti sono a spettro continuo ovvero cambiando la temperatura
o il campo magnetico si possono ottenere le lunghezza d’onda che vogliamo.
Oltre a questi meccanismi vi sono quelli detti di righe spettrali legati
cioè ai moti dell’elettrone all’interno dell’atomo o della molecola e ai moti
dell’intero atomo o molecola. In genere le molecole e gli atomi non possono
essere modificati quindi le emissioni sono a lunghezza d’onda fissata. Questa
caratteristica ci permette di vedere quali sono i gas che formano una nube
interstellare o una stella e sono gli stessi meccanismi che permettono
all’atmosfera di bloccare certe lunghezze d’onda. Ad esempio lo studio della
riga dei 21 cm ovvero 1420 MHz ha permesso di valutare quanto idrogeno è
presente nella nostra galassia e confrontarlo con quello che potevamo vedere
con i telescopi. Naturalmente con i telescopi era possibile vedere solo quello
illuminato dalle stelle vicine mentre con i radiotelescopi è possibile vederlo
tutto, illuminato o no! Inoltre mentre la luce visibile è ostacolata dalle
polveri presenti nella galassia, la radiazione a 21 cm non risente di questo e
quindi è possibile vedere laddove l’occhio non può comunque arrivare.
I primi tentativi
per la ricezione della emissione solare non furono coronati da successo a causa
della scarsa sensibilità degli strumenti. Janski, pur avendo strumenti più
sensibili, avrebbe potuto rivelare il Sole ma eseguì le sue misure in un
periodo di minimo dell’attività solare e non vide nulla. Come accennato in
precedenza radiazione solare fu osservata per la prima volta nel 1942 come
disturbo sugli schermi radar in un periodo di massimo dell’attività.
Se osserviamo il
Sole in un periodo di minimo dell’attività esso appare diverso da come lo
vediamo nel visibile. Nella regione VHF (frequenze di trasmissione radio e
televisive lunghezza d’onda minore di 1 m) il sole appare come un oggetto di
diametro quattro volte maggiore rispetto al visibile. Questo è dovuto
all’effetto di schermatura della corona, la parte esterna che circonda il sole
come l’atmosfera circonda la terra, che non permette il passaggio alle onde di
lunghezza comprese tra un metro e 10 cm. Nella regione delle microonde scompare
l’effetto di schermatura e il Sole appare di dimensioni uguali a quelle nel
visibile ma con temperatura compresa tra 10000 e 100000 K. A piccole lunghezze
d’onda il sole appare sempre più simile a quello che vediamo nel visibile con
temperatura superficiale di circa 6000 K.
Nei periodi di
attività solare alla componente di Sole quieto si sommano gli effetti di Sole
attivo che si manifestano con gran numero di macchie sulla superficie ed
esplosioni che prendono il nome di flare e di brillamenti in tali
condizioni l’emissione radio del Sole può aumentare anche fino ad un milione di
volte.
Le emissioni di sole
quieto sono di tipo termico mentre quelle di Sole attivo sono di entrambi i
tipi.
Vediamo adesso le
sorgenti di tipo non termico.
Nella nostra
galassia ogni tanto, quando è giunta alla fine della propria evoluzione, una
stella esplode e questo evento prende il nome di supernova. Questi
fenomeni sono stati osservati anche in antichità e cinque di questi sono
documentati: una nell’anno 185 che ha preso il nome di MSH 14-63, una nel 1006
con il nome di BGM 1459-41, una nel 1054 chiamata Nebulosa del Granchio e per i
radioastronomi Taurus A, la famosa supernova di Tycho del 1572 e quella di
Keplero del 1604. Tra queste la più conosciuta nel radio è Taurus A ed è stata
studiata dal radio ai raggi X. Oltre a questi residui di supernova sono stati
studiati altri oggetti simili dei quali però non sono state tramandate
osservazioni di suopernove associate. Tra questi il più importante è Cassiopeia
A che è la sorgente radio discreta più potente dopo il Sole ed è utilizzata
come sorgente di calibrazione.
L’emissione tipica
del Sole nel radio è di circa 1012 W quindi ci aspettiamo da una
galassia con 1011 stelle una potenza di 1023 W. Questa
quantità è assai minore della potenza emessa nel visibile, circa 1037 W
anche se vi sono galassie normali, come Andromeda che emettono nel radio1031
W. Il meccanismo di emissione è quello di sincrotrone: elettroni veloci
prodotti dalle supernove che vagano nei campi magnetici stellari e in quelli
più potenti dell’alone galattico. Vi sono anche radiogalassie come Cygnus A,
Virgo A e Hercules A che emettono una potenza fino a 1037 W e si
suppone che l’emissione sia dovuta ai dischi di accrescimento di buchi neri nel
nucleo; la materia del disco, cadendo nel buco nero, è sottoposta ad una forte
accelerazione e le particelle emesse formano dei getti di emissione radio.
I quasar sono
oggetti molto compatti che emettono molta energia, maggiore anche delle
radiogalassie ma sono molto distanti da noi e quindi ci appaiono come oggetti
deboli. La loro emissione è di tipo termico e non termico. Il loro nome deriva dalla
contrazione delle parole sorgenti radio quasi stellari.
Scoperte nel 1967,
le pulsar sono stelle di neutroni ovvero corpi celesti di piccole dimensioni
(circa 10 Km di diametro) che ruotano velocemente intorno al proprio asse. La
velocità di rotazione può essere di un secondo o anche meno e sono osservate a
408 MHz. La loro emissione è stata trasformata in formato audio e somiglia
molto ad un battito o un ronzio a seconda della pulsar. A causa della loro
grande distanza, sulla Terra si ricevono flussi dell’ordine del Jy e anche
meno.
Oltre alla emissione
termica di corpo nero nella regione delle microonde, Giove presenta una
fortissima radiazione non termica in una banda compresa tra 10 MHz e 40 MHz.
Questa emissione fu
scoperta nel 1955 da B.F.Burche e K.L.Franklin alla frequenza di 22.2 MHz e
misurarono flussi di milioni di Jy.
Questa radiazione è
provocata dal passaggio del satellite Io all’interno del campo magnetico di
Giove. I numerosi vulcani attivi del satellite, emettono zolfo, ossigeno ed
altri atomi e molecole, alcune di questi sfuggono alla gravità di Io e
rimangono lungo la sua orbita. Questi atomi e molecole si ionizzano ovvero
perdono gli elettroni e rimangono intrappolate nel campo magnetico di Giove
dove spiraleggiano e emettono questi intensi flussi radio.
Le emissioni sono
correlate con la posizione di Io e quindi possono essere previste conoscendo la
posizione del satellite rispetto a Giove ed alla Terra.
Tra le radiazioni di
riga una delle più importanti è quella detta di transizione iperfine[3]
dell’idrogeno neutro che emette alla lunghezza d’onda di 21.106 cm.
L’importanza fondamentale di questa radiazione è che non essendo assorbita
dalla materia interstellare, è possibile costruire una mappa radio della
galassia e, con metodi doppler[4],
misurare anche la velocità di rotazione.
Un altro aspetto
importante è che la misura della radiazione a 21 cm permette di avere una
valutazione della massa e della distribuzione dell’idrogeno neutro contenuto nella
galassia.
Queste in realtà non
sono vere sorgenti radio, una meteora è un piccolo corpo celeste che entrando
nell’atmosfera terrestre a causa della grande velocità propria, si disintegra
per il gran calore sviluppato per attrito con l’aria. Le dimensioni di questi
oggetti sono in genere molto piccole e vanno dalle dimensioni di un sassolino a
quelle dei granelli di polvere. Naturalmente vi sono oggetti più grandi che
riescono ad arrivare fin sulla superficie terrestre e sono note con il nome di
meteoriti, ma sono eventi relativamente rari. Al contrario le meteore e ancor
più le piogge di meteore sono eventi regolari che possono anche essere
previsti. Infatti le piogge di meteore sono causate dal passaggio della Terra,
nel moto intorno al Sole, attraverso le orbite di antiche comete che sono
seminate da frammenti e corpuscoli di varia dimensione e natura.
Quando le meteore
bruciano nell’atmosfera terrestre, al loro passaggio si forma una scia di atomi
ionizzati, cioè atomi che hanno perso uno o più elettroni. Gli elettroni che si
formano lungo a scia hanno la proprietà di riflettere onde radio fino a quando
non vengono catturati nuovamente dagli atomi.
Se una emittente
radio che trasmette nella banda VHF (da 30 a 100 MHz) è posta a grande
distanza, la ricezione del segnale è impossibile a causa della curvatura
terrestre ma è possibile l’eventuale ricezione del segnale a seguito di
riflessione che nel caso delle meteoriti può durare da alcune frazioni di
secondo a qualche minuto.
Questo metodo di
osservazione diventò popolare tra gli astrofili e i radioamatori americani, a
metà degli anni ottanta.
Un radiotelescopio
non è molto diverso da un comune ricevitore radio, la differenza sostanziale
risiede nella maggiore sensibilità e nella totale assenza della parte di
rilevazione del segnale audio.
Semplificando
possiamo dire che un radiotelescopio è formato da un riflettore che funziona
come lo specchio o la lente di un telescopio, una antenna che è l’analogo
dell’occhio ed infine un ricevitore radio con un sistema di registrazione e
analisi che può essere immaginato come la lastra fotografica di un telescopio
ottico.
Figura
4 Schema di
funzionamento di un radiotelescopio con riflettore parabolico.
Quello in figura è
l’aspetto più comune di radiotelescopio che è riconoscibile per il grande
riflettore parabolico che può raggiungere anche grandi dimensioni. Questo non è
però l’unico riflettore utilizzato. Per antenne che adottano un dipolo (la
bacchettina dell’esempio sulle onde elettromagnetiche) si possono utilizzare
anche illuminatori cilindrici, piani, a barattolo o con qualsiasi altra forma
studiata dai progettisti.
Il riflettore è
molto importante poiché è il primo elemento che seleziona la radiazione
elettromagnetica in arrivo.
Per capire meglio
quello che segue è nuovamente utile l’analogo ottico.
Supponiamo che il
riflettore sia uno specchio di un telescopio. Vi sono due grandezze
fondamentali: il diametro e la lunghezza focale. Maggiore è il diametro
maggiori sono la luce raccolta (e quindi la luminosità dell’immagine) e il
potere separatore (la capacità di vedere due oggetti vicini come oggetti
distinti). Queste dimensioni dovranno però essere misurate non in metri bensì in
lunghezze d’onda per capire come agisce il riflettore in un radiotelescopio. Ad
esempio uno specchio da mezzo metro di diametro è un sogno per quasi tutti gli
astrofili. Vediamo ora il diametro in lunghezze d’onda:
diametro specchio = 0.5 m
lunghezza d’onda = 550 X 10-9 m (luce
verde-gialla)
0.5 / 550 X 10-9
= 909090
cioè lo specchio è
circa 900000 volte più grande della lunghezza d’onda. Uno specchio da
telescopio amatoriale di 10 cm è comunque 180000 volte più grande.
Prendiamo ora la
radiazione radio a 1420 MHz, la lunghezza d’onda è 21 cm. Uno specchio analogo
a quello di 10 cm dovrebbe avere un diametro di circa 38 Km(!) quindi i
radiotelescopi più grandi equivalgono a strumenti ottici estremamente piccoli
che sarebbero inutilizzabili. Nonostante questo vi sono alcuni trucchi per
migliorare le cose.
Avete mai provato a
mettere una mano davanti ad un telescopio? Se la mano non copre tutto
l’obbiettivo, guardando attraverso l’oculare si vede diminuire solo la
luminosità dell’immagine. Il potere separatore rimane pressoché lo stesso.
Questo perché la mano copre solo la parte centrale dell’obbiettivo e quindi
limita la quantità di luce raccolta mentre il potere separatore è legato al
diametro dello specchio cioè alla distanza tra le parti di specchio che vanno a
formare l’immagine.
Figura
5 Il potere
separatore di uno specchio non cambia se si maschera la parte centrale dello
stesso.
Se prendessi un
grosso specchio e vi appoggiassi un panno nero con tre fori come in figura il
potere separatore rimarrebbe praticamente invariato. Quindi a posto di un
grosso specchio potrei usarne tre o più in modo da ricreare la superficie di un
unico specchio più grande. Questo metodo è alla base di una tecnica chiamata interferometria
che permette di avere risultati equivalenti a strumenti molto grandi che per
l’alto costo o le difficoltà tecniche non potrebbero essere costruiti.
Un esempio, ancora
nella regione del visibile, sono i grandi telescopi con specchi composti da un
insieme di specchi piccoli mantenuti nella giusta posizione tramite un
computer, il primo telescopio di questo tipo è stato l'MMT (Multiple Mirror
Telescope) formato da 6 specchi di 1,8 m di diametro che insieme costituivano
l'equivalente di uno specchio unico di 4,5 m di diametro; oggi è in funzione il
telescopio Keck I, situato sul Mauna Kea (Hawaii), formato da 36 specchi
esagonali, con una dimensione massima complessiva di 10 m.
Un esempio analogo
questa volta nella regione radio è il più famoso radiotelescopio italiano: la Croce
del Nord che trattiamo in dettaglio nel prossimo paragrafo.
Nel nostro paese
esiste vi sono alcuni siti che ospitano radiotelescopi, il più famoso di questi
è il radiotelescopio di Medicina (BO) detto Croce del Nord.
Vale la pena di
descriverlo brevemente poiché è il più grande strumento di transito esistente
al mondo ed ha cominciato a operare nel 1964. È formato da due bracci disposti
a T, uno orientato in direzione Nord - Sud e l'altro in direzione Est – Ovest e
prende il nome da questa forma particolare.
Il braccio Est -
Ovest è costituito da un'antenna con un riflettore a forma di cilindro lungo
564 m e largo 35 m. Il braccio Nord - Sud, lungo 640 m, è formato
dall'allineamento di 64 antenne di forma analoga lunghe ognuna 23,5 m, larghe 8
m, e poste ad una distanza di 10 m l'una dall'altra. Entrambi i bracci sono
orientabili solo in direzione Nord - Sud, per cui le sorgenti sono osservate
quando transitano sul meridiano, per effetto della rotazione terrestre.
L’insieme di questi
riflettori hanno una superficie totale di raccolta di 30000 metri quadri. La
frequenza delle onde radio rivelate è 408 MHz (corrispondente alla lunghezza
d'onda di 73,5 cm).
Questo strumento è
stato concepito per l'esplorazione sistematica del cielo alla ricerca delle
radiosorgenti ed ha prodotto cataloghi di radiosorgenti raccogliendo i dati su
oltre 30000 oggetti.
La grande superficie
di raccolta della radiazione e la bassa frequenza di osservazione rendono la Croce
del Nord uno strumento molto interessante per lo studio delle pulsar.
Recentemente è stata
costruita una strumentazione specializzata a questo scopo e rivolta in
particolare alla ricerca di pulsar superveloci.
Medicina ospita un
altro importante strumento, il radiotelescopio VLBI (Very Long Baseline
Interferometry) costituito da un riflettore principale di 32 m di diametro e
funzionante a frequenze comprese tra 327 MHz e 43 Ghz (cioè tra 90 e 0,7 cm di
lunghezza d'onda).
Esso è stato
progettato nell’ambito di un progetto nazionale che sfrutta una nuova tecnica
interferometrica con distanza tra gli strumenti di migliaia di Km. Ad esempio è
possibile fare misure con la tecnica interferometrica con radiotelescopi
italiani ed europei e con l’equivalente rete americana detta VLBA (Very Long
Baseline Array).
Naturalmente, data
la grande distanza tra le antenne, è necessario raccogliere i dati e
contemporaneamente misurare il tempo in modo molto preciso utilizzando orologi
atomici. Tutta la mole di dati viene poi analizzata successivamente
sincronizzando le misure dei singoli radiotelescopi utilizzando il tempo
indicato dagli orologi atomici.
Un radiotelescopio
gemello del VLBI si trova a Noto (SR) mentre un nuovo strumento di 64 m di
diametro, denominato Sardinia Radio Telescope (SRT), è in costruzione presso
San Basilio in Provincia di Cagliari.
Oltre a questi vi
sono molte altre antenne di dimensioni inferiori. Una di queste, del diametro
di 4 m fu costruita nel 1956 presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri e fu
smantellato a metà degli anni ’90. Esso è stato il primo radiotelescopio ad
antenna parabolica in Italia.
Altri strumenti, per
uso didattico sono presenti in alcune Università italiane. Presso il
Dipartimento di Fisica dell’Università di Pisa erano in funzione quattro
radiotelescopi tesi di laurea dello scrivente.
Questi strumenti
permettevano la misura delle radiazioni a 20 MHz (Giove ed Io), 151 MHz (Sole),
1420 MHz (idrogeno) e 48 MHz (meteore) ed erano stati costruiti per essere
utilizzati nel corso di Tecniche Astrofisiche al quarto anno del corso di
laurea in fisica.
Oltre all’uso degli
strumenti, era in programma la realizzazione da parte degli studenti di alcuni
amplificatori che potevano essere collegati agli strumenti per confrontarne le
caratteristiche.
Per questo tipo di
strumenti, tutti di piccole dimensioni e di bassa sensibilità, la sorgente più
potente è il Sole, in misura maggiore nel periodo dei corsi (1998-99) durante
il quale il Sole era nel periodo di massimo di attività.
Per capire come
funziona un radiotelescopio ho sempre fatto analogie con i telescopi ai quali
in parte somigliano, l’analogia termina quando andiamo a vedere cosa si osserva
con il radiotelescopio.
Il risultato di una
misura con un telescopio è, in genere, una fotografia sulla quale si possono
compiere misure di posizione (astrometria) o di intensità (fotometria) oltre ad
altre sulle quali non ci soffermiamo.
Da un
radiotelescopio non ci dobbiamo aspettare una immagine, almeno non
immediatamente! Quando si punta il radiotelescopio verso una sorgente, ad
esempio il Sole, lo strumento misura la potenza incidente per quella lunghezza
d’onda. È come se in quell’istante avessi una immagine formata da un unico
punto luminoso. Per avere un altro punto, devo spostare un po’ l’antenna e
compiere di nuovo la misura. Spostando l’antenna ripetutamente posso formare
una immagine radio della sorgente che mi interessa ma al contrario del
telescopio, non ho una immagine subito, devo costruirla puntando ogni volta
l’antenna.
Questo aspetto è
importante per comprendere il significato dei grafici che seguono. Se accendo
il radiotelescopio e lo lascio in funzione tutto il giorno senza spostarlo,
grazie alla rotazione terrestre, compio una scansione dell’intera volta celeste
lungo un parallelo.
Se, il giorno
successivo sposto l’antenna verso l’alto o il basso posso compiere una nuova
scansione del cielo. Nel giro di pochi giorni posso così ricostruire una mappa
radio dell’intera volta celeste visibile dalla latitudine alla quale ci
troviamo.
Nella figura che
segue si vede appunto il risultato di una di queste scansioni.
Figura 6 Scansione del cielo in
prossimità dell'equatore celeste. In ordinate è indicato il tempo che
corrisponde all’ora di acquisizione. Questo grafico è stato fatto utilizzando
l’antenna parabolica da 3.3 metri operante a 1420 MHz costruita presso il
Dipartimento di Fisica dell’Univ. Di Pisa
La linea rappresenta
l’intensità della radiazione incidente a 1420 MHz; essa aumenta in direzione
del centro della Galassia e in corrispondenza di uno dei due bracci.
Utilizzando molte di
queste scansioni si può ricostruire la mappa radio della Galassia.
Nella figura
seguente è rappresentata una mappa radio della Via Lattea vista da sopra. Le
zone scure corrispondono a zone di maggiore emissione (cioè più ricche di
idrogeno neutro).
Figura 7 Mappa radio a 1420 MHz
della Via Lattea. Le zone più scure corrispondono a una maggiore distribuzione
di idrogeno neutro. La distribuzione è centrata sulla posizione della terra che
si trova a circa metà strada tra il centro della Galassia e la sua periferia.
Con piccoli strumenti vi sono altre
radiosorgenti che possono essere misurate, una di queste è Cassiopeia A, della
quale abbiamo già trattato.
Figura
8 Radiosorgente
Cassiopeia A a 1420 MHz.
Oltre a poter
mappare il cielo, vi sono fenomeni particolari dei quali non importa molto la
posizione ma sono importanti l’intensità e l’ora di registrazione. Un esempio
di questi fenomeni sono i flare solari.
Questi sono
responsabili di modifiche della magnetosfera terrestre ed hanno effetti di
disturbo sulle trasmissioni radio. Un esempio di ciò che si può vedere con un
radiotelescopio è nella figura seguente dove ne sono stati registrati tre
catalogati con i numeri: 5300, 5230 e 5250.
Figura 9 I flare solari oltre
che nel radio sono registrati anche nella regione dei raggi X tramite
satelliti, vengono catalogati con numeri e annotati con l'ora di inizio e fine
e con intensità media e di picco. Essi hanno importanti ripercussioni sulle
trasmissioni radio terrestri.
In questa ultima
immagine si vede un uso non convenzionale di un radiotelescopio. Si tratta
dell’antenna a 20 MHz utilizzata per misurare le emissioni di Io. Dovendo
misurare un transito notturno, rimase acceso tutta la notte. Nel pomeriggio una
serie di temporali estivi stavano evolvendo sul Mare Ligure. Alle 16.30 il
fronte si trovava sopra la costa tra Migliarino Pisano e Torre del Lago Puccini
dove pioveva copiosamente. Il radiotelescopio registrava i primi fulmini come
picchi di emissione. La pioggia cominciò a lambire la zona di Pisa verso le
23.00. Dopo dieci minuti stava piovendo abbondantemente, alle 23.18, un fulmine
riuscì a bruciare il preamplificatore dell’antenna. Il temporale continuava ad
aumentare per intensità così come aumentava l’attività elettrica. Il mattino
dopo tra le 1.00 e le 3.00, una serie di fulmini molto vicini è stata
registrata nonostante che il preamplificatore si fosse bruciato e funzionasse
come attenuatore.
Da quella notte non
si sono più registrati temporali di tale violenza, tuttavia l’attività
elettrica che accompagna le perturbazioni poteva essere rivelata e sul finire
del 1999 abbiamo registrato oltre 1000 fulmini.
Figura 10
Registrazione dell'attività di un temporale. La potenza è tale che si brucia il
preamplificatore.
[1] La relazione è: F=c/L dove F=frequenza
in Hz, c=velocità della luce e L=lunghezza d’onda in m. Per es. ad una
lunghezza d’onda di 20 m corrisponde una frequenza di 15000000 Hz ovvero 15
MHz. A 100 MHz, che è una frequenza da radio FM, abbiamo onde di 3 m.
[2] Il Kelvin, abbreviato K, è la misura
della temperatura a partire dallo zero assoluto che equivale a circa –273 gradi
centigradi. In questa scala la temperatura di ebollizione dell’acqua
corrisponde a 373 K. La temperatura in K è legata al moto medio degli atomi
all’interno del corpo osservato e lo zero assoluto equivale al moto medio
uguale a zero. Per tale motivo non si parla di temperatura negativa in K.
[3] Si tratta della transizione dello
stato spin, o momento angolare, dell’elettrone da parallelo ad antiparallelo
(detti anche tripletto e singoletto) rispetto a quello del nucleo. È una
radiazione la cui energia è 6 X 10-6 eV che è abbastanza bassa e la probabilità
di emissione spontanea è 2.85 X 10-15 sec-1 quindi un
atomo rimarrà nel proprio stato 11 milioni di anni prima di emettere, ma
essendo gli atomi di idrogeno i più comuni e numerosi nell’universo, questa
diventa una radiazione ben osservabile.
[4] Si chiama effetto doppler la
variazione di frequenza di un’onda a seconda del moto relativo tra sorgente e
osservatore. Ad esempio quando una ambulanza che corre su una strada, ci viene
incontro, il suono avrà una tonalità (o frequenza) più alta rispetto a quella
che udiamo quando ci sfreccia accanto o quando, dopo averci superati, udiamo
mentre si allontana. Un effetto analogo agisce sulla luce emessa da sorgenti in
moto. Grazie a strumenti raffinati è possibile misurare anche piccoli
spostamenti della frequenza dovuti al moto relativo che permettono quindi di
misurare la velocità di questi oggetti.